L’artista celato nell’Intelligenza Artificiale


Vi siete mai chiesti come il geniale Van Gogh o il grande Monet rappresenterebbero ai giorni d’oggi un grande televisore o un personal computer? O come Leonardo Da Vinci dipingerebbe un’aspirapolvere? Con il codice che ho scritto e altri strumenti AI possiamo scoprirlo.

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Saint-Georges majeur au crépuscule, Claude Monet, 1904-1908 – Ordinateur (computer fisso), Claude Monet, 2019.


Oggi numerosi strumenti di intelligenza artificiale ci vengono in soccorso per dare una risposta a questo quesito. Si tratta di algoritmi di Style Transfer che utilizzano una immagine di Input per apprendere lo stile, ne acquisiscono i tratti essenziali e imparano a disegnare e dipingere come l’artista originale.

Lo stile appreso è poi applicabile a qualsiasi altra immagine. Questo permette di simulare la manualità e le pennellate di un pittore come Van Gogh e applicarli a un’immagine di un aereo simulando come questo grande artista avrebbe rappresentato il soggetto in un quadro del 1870.

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De sterrennacht, Vincent Van Gogh, 1889 – Vliegtuig (aereo), Vincent Van Gogh, 2019.


Leggendo un post di Fabio Ferrari (nostro fondatore & CEO) che tratta l’utilizzo dell’AI per portare a termine alcune opere lasciate incomplete come l’ottava sinfonia di Schubert, mi trovo completamente d’accordo con il suo pensiero:

“Non serve avere un orecchio bionico per capire che a volte è opportuno lasciare un senso di ‘precarietà’ nelle opere umane per cogliere la vera genialità e innovazione”.

Lo stesso concetto vale per i dipinti rimasti incompleti come il “Ritratto di George Washington” di Gilbert Stuart: una macchina che compie solamente calcoli matematici non potrà mai completare un’opera come se fosse stata terminata dall’artista originale. Ed è forse questa impossibilità di essere completata che la rende affascinante e intrigante.

Questo discorso però si può fare anche tra due umani: nessun artista può completare l’opera di un altro, né moralmente né tecnicamente. Ogni artista ha il suo stile ed è bene che rimanga tale.

Ma perché allora un algoritmo AI non può avere il proprio stile?

Skrik, Edvard Munch, 1893 – Chinese muur (muraglia cinese), Edvard Munch, 2019.


Negli anni a venire le opere prodotte da AI verranno sempre più considerate. Non escludo che si crei un nuovo movimento artistico, dei nuovi pittori e compositori che generano arte solamente attraverso calcoli matematici. Il primo quadro dipinto interamente da una AI è il “Ritratto di Edmond Belamy”. La tela ritrae un corpulento gentiluomo francese con redingote e colletto bianco stile puritano mentre, in basso a destra, campeggia la firma dell’algoritmo. Il personaggio ritratto, così come gli altri componenti della sua famiglia, non sono mai esistiti, sono frutto della “fantasia” del computer. L’AI ha interamente dipinto secondo il suo stile appreso studiando dipinti realizzati tra il XIV e il XX secolo.

Ma a quel punto chi è il vero artista? L’intelligenza artificiale, il programmatore della stessa o tutti gli artisti presenti nel dataset su cui l’intelligenza si è allenata?

Possiamo dire che sia l’unione di numerosi stili, dai grandi pittori dell’800 ignari che i loro quadri sarebbero stati utilizzati come Input per una macchina, al programmatore che inserisce vincoli e logiche all’interno del codice. Ogni soggetto che ha interagito con la realizzazione del dipinto in un qualche modo ha contribuito alla creazione dello stile dell’AI. Un grande lavoro di gruppo, un insieme di scelte e accorgimenti, fanno sì che l’AI possa “dipingere” con uno stile proprio.

Rimane comunque un dubbio: diciamo che il codice che compone l’AI può essere definito arte. È il programmatore che la crea utilizzando competenze tecniche e sentimento, questo rende il programmatore un artista. Ma il codice così creato può essere definito artista?


Rappresentazione di un Robot (stile Guernica), Pablo Picasso, 2119.