Perché abbiamo deciso di non usare TikTok

 

Abbiamo bisogno di essere davvero disturbati una volta ogni tanto. Da quanto tempo non eri davvero infastidito? Da qualcosa di importante, qualcosa di reale?” - R. Bradbury, Fahrenheit 451

 

 

Ogni anno arriva il momento in cui dobbiamo fare delle valutazioni sui social da usare e sulle nicchie di cyberspazio in cui vogliamo conquistare attenzione. Valutiamo le metriche e analizziamo i trend per decidere se dare priorità alla rapidità del posizionamento o alla fatica della costruzione dell’autorevolezza. Per ciò che facciamo siamo chiamati ogni giorno a cercare di comprendere il funzionamento delle reti e del modo in cui queste influenzano la percezione individuale e l’opinione pubblica. Ogni volta acquisiamo un elemento in più che ci aiuta a comprendere cosa vogliamo comunicare e come, ma soprattutto, come non vogliamo farlo. Quest’anno, alla luce di tutte queste riflessioni, abbiamo capito chiaramente cosa non vogliamo fare.

 

Non vogliamo comunicare su TikTok. 

 

Forse sarebbe efficace, utile e semplice farlo, ma non ci interessa. Forse ci permetterebbe di raggiungere con facilità un pubblico ampio, ma non ci interessa. Non è un capriccio o una rigidità fine a se stessa. Semplicemente, sono troppe le critiche che da più parti vediamo sollevarsi su questo canale. Non è questione di strategia, né di posizionamento, né di budget.

È una questione di principio. Le informazioni che abbiamo raccolto, citate di seguito, lasciano spazio a critiche e a problematiche che, a nostro avviso, non sono state sufficientemente chiarite da parte dei proprietari e dei gestori della piattaforma.

 
Le questioni etiche

In primo luogo, abbiamo deciso di non usare TikTok per le modalità di gestione, attualmente molto discusse, dei dati degli utenti e della loro privacy. Agenda Digitale, all'interno di questo articolo, pone l’accento sulla poca trasparenza della app nella gestione dei contenuti e dei dati, evidenziando subito che "la prima anomalia è rappresentata dalla ormai quasi certezza del trasferimento dei dati sensibili degli utenti iscritti di TikTok su server cinesi, confermata dalla class action avviata nello Stato della California”. Inoltre, viviamo con profonda preoccupazione la possibilità di lanciare e diffondere qualsiasi tipo di "challenge", che può contribuire a dare visibilità a comportamenti irresponsabili o lesivi: è il caso, ad esempio, della recente sfida pensata per sostenere la body positivity tramutatasi poi in una forma di revenge porn, a causa di utenti malintenzionati, come mostra il media Mashable in questo articolo. Possiamo immaginare che TikTok rispetti la forma imposta per legge, ma è chiaro che l’utilizzo reale può innescare conseguenze pericolose.
 
Il rispetto della privacy
 

A fronte di tutto ciò, è nota ormai l’istituzione a livello internazionale di task force di Garanti della Privacy per effettuare verifiche e controlli su questo social media. I casi di sospetta violazione della privacy dibattuti in passato (ad esempio in USA) e quelli attualmente in corso di valutazione (ad esempio in Inghilterra o in Olanda), così come i dubbi sull'efficacia dei sistemi di limitazione per l'iscrizione di utenti under 13 (come riconosciuto dalla stessa piattaforma nel suo primo Community Guidelines Enforcement Report), ci spingono ad adottare un atteggiamento quantomeno prudenziale.

 

Se quindi è legittima la scelta individuale di una persona di comunicare con il resto del mondo in modo nuovo, anche a costo di accettare le regole perverse di una società che vive di omologazione dei comportamenti, crediamo tuttavia che tale scelta non debba essere incentivata a qualsiasi costo.
Quindi, di chi è la colpa? Solo di TikTok? Certamente no, ma la responsabilizzazione dell’individuo non implica una de-responsabilizzazione della tecnologia.
 
L'algoritmo inesplicabile di IA  
 
Produrre contenuto su TikTok significa scendere a compromessi con le logiche del suo algoritmo di Recommendation, il cui obiettivo è quello di massimizzare lo "screen time" degli utenti e di catturarne l’attenzione quanto più a lungo possibile. Ciò che conta è aver catturato la nostra attenzione. Il design stesso della piattaforma incentiva a non uscire dai binari tracciati dall’algoritmo, ed è talmente efficace che oltre il 90% dei contenuti di TikTok viene consumato tramite suggerimenti automatici, che creano un elenco personalizzato di video comodamente accessibili tramite swipe dalla schermata principale dell’app (“for you”).
 
In un certo senso, TikTok è il primo social network in cui l’intelligenza artificiale è il prodotto stesso, con un cambio di paradigma sostanziale: questo articolo di towardsdatascience.com mostra come non siano più le visualizzazioni o i click a determinare cosa è popolare e cosa non lo è, ma un algoritmo d’intelligenza artificiale che propone contenuti specifici per catturare quanti più minuti di screen time possibile. Non si tratta di demonizzare le dinamiche della piattaforma, ma di avere consapevolezza che utilizzare questi strumenti comporta l’adesione implicita a una serie di regole del gioco che incentivano la produzione di contenuto che l’AI di TikTok considera adeguata alla sua utenza. Questa presa di coscienza genera una responsabilità che non può essere ignorata né da parte degli utenti né di chi gestisce e disegna gli algoritmi di Recommendation.

 

Parliamo di diritti

 

Riteniamo sia opportuno approfondire e comprendere le modalità con le quali TikTok monitora, raccoglie e gestisce i dati dei propri utenti. Per dare concretezza ai valori in cui crediamo e che intendiamo porre nell’etica del lavoro, vogliamo infatti vivere la funzione del diritto come la manifestazione dell’aspirazione a vivere in un mondo migliore. Il diritto è, per noi, l’espressione di un’utopia, la possibilità di fare meglio, di dire meglio, di sognare meglio, nel rispetto delle necessità e delle aspirazioni di ognuno.

Chi, come noi, cerca nella quotidianità di contribuire al miglioramento della riflessione istituzionale e sociale sui temi dell’etica digitale, non deve accettare che il formalismo prevalga sulla sostanza o svuoti di contenuto la tutela delle persone. 

  

TikTok esercita la censura?

 
Un articolo recente, sulla MIT Technology Review, porta in evidenza in maniera ampia l'approccio problematico ai meccanismi automatizzati di gestione dell'informazione da parte della piattaforma, sollevando, a nostro avviso, dubbi non irrilevanti. Non sappiamo se, come dichiarato da Abby Olheiser nell'articolo, si tratti davvero di un "endless cycle of censorship", ma certamente riteniamo il dubbio sufficiente a condizionare una scelta.
 
Inoltre, da Il fatto quotidiano apprendiamo che, in certe aree geografiche, TikTok esercita un’azione di censura su determinati contenuti caricati che, in questo angolo di mondo, sono la manifestazione del diritto a esprimere la propria opinione.
Qualcuno dirà che tutti i social esercitano strategie di censura, ma in questo caso ci permettiamo di invitare a riflettere sulle implicazioni culturali di un episodio in cui un'adolescente è spinta a dissimulare il dissenso verso un regime autoritario all'interno di un finto tutorial di make-up. Sono confini sottili, è evidente, ma crediamo sia fondamentale metterli in risalto, perché per quanto sottili possano essere, sanciscono una differenza sostanziale tra ciò che è accettabile e ciò che non lo è. 
 
La nostra posizione 
 
Forse TikTok sarebbe lo strumento ideale per facilitare il dialogo con un pubblico che fatichiamo a raggiungere. Forse dimostrerebbe freschezza e attenzione ai cambiamenti dei registri comunicativi. Forse ci permetterebbe di rendere più fluido e semplice un posizionamento di mercato meno formale, meno rigido, meno tradizionalista. Forse è tutto vero, e in qualche modo ne riconosciamo le implicazioni complesse. Ci siamo interrogati a fondo, sul tema, parlandone a lungo, poi, guardandoci in faccia, ci siamo arresi all’evidenza. 
 
La tutela dei diritti, il valore della libertà, la responsabilità verso la società non sono temi da far rientrare in un bilancio costi-benefici.
 
Certamente non nel nostro.